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Di battaglie e di preghiere

XXIX Domenica del Tempo ordinario-anno C

Esodo 17,8-13

In quei giorni, Amalèk venne a combattere contro Israele a Refidìm. Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio». Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle. Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. Giosuè sconfisse Amalèk e il suo popolo, passandoli poi a fil di spada”.

C’è una battaglia in corso, una lotta che è un corpo a corpo. Per molti secoli abbiamo combattuto con nemici esterni a noi: altre religioni, altre culture, altri popoli e nazioni. La nostra epoca e la nostra cultura (quella che chiamiamo “occidentale”) combatte più una battaglia “interiore”, dove il nemico o i nemici sono interni alla persona. Il documento del Concilio Vaticano II Gaudium et spes ci avvertiva:

“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.”Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. (Gaudium et Spes 1)

Condividiamo tutti una battaglia che è quella dell’umano, dell’essere “umani”, dell’essere carne e sangue, per questo la vera battaglia non può essere che un “corpo a corpo”. Ce lo mostra Mosè sul colle: la sua preghiera è questione di corpo, di fatica, di stanchezza, di dolore negli arti alzati verso il cielo: Mosè non se la cava con una preghierina da poco, delegando Dio a risolvere la vita. Dio vuole che Mosè collabori, che ci metta del suo, che viva vita e preghiera fino in fondo: mettendo cioè l’anima nel corpo e dando corpo all’anima.

“…mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani…”

Certo, una lotta così profonda, così vera, reale, “carnale” non la possiamo combattere da soli. Quante volte ci abbiamo provato? Quante volte ci siamo illusi? Quante volte abbiamo dato credito a quell’immagine di noi tronfia e autosufficiente che ci diceva: “fagli vedere chi sei, faccela da solo, dimostra che non hai bisogno di nessuno!” Mosè, Aronne e Cur sono in tre: un nucleo di comunità profondamente unita a coloro che stanno combattendo a valle: solo così si combatte. Perché il “corpo a corpo” non è solo mio, ma è di tutti: il mio lo combatto io, ma sento che lo condivido con quello di chi mi sta vicino.

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